Il Trebbiano è il nome più comune del mediocre Ugni Blanc in Italia, dove è l’uvabianca di gran lunga più coltivata. Il termine indica quasi sempre un vino bianco leggero, acidulo e poco seducente. Questa varietà a bacca dorata, quasi ambrata, è così prolifica e diffusa sia in Francia sia in Italia, i due maggiori produttori di vino, che probabilmente produce più vino di ogni altra varietà al mondo, anche se l’Airén spagnolo e il Garnacha/Grenache a buccia scura coprono una superficie vitata maggiore. In Italia il Trebbiano, nelle sue tante varietà, occupa una superficie a vigneto superiore anche al Sangiovese. È citato nel disciplinare di più DOC di ogni altra varietà (circa 80) e fornisce forse oltre un terzo dell’intera produzione italiana di vini bianchi a DOC.
In Francia, dove giunse grazie al fiorente commercio mediterraneo tra porti italiani e francesi durante il secolo XIV, è la più importante varietà di uva bianca del paese, il suo nome più comune in Francia, per ulteriori dettagli sul Trebbiano altr’Alpe.
L’Ugni Blanc viene utilizzato principalmente come vino base per il Brandy, il che la dice lunga sul carattere del vino prodotto dal Trebbiano. Come tanti vini di grande produzione, ha poco estratto, poco carattere, grado alcolico relativamente basso e un’utile acidità elevata. La vite, eccezionalmente vigorosa, germoglia tardi, il che la mette al riparo dai danni delle gelate primaverili, e ha rese naturali elevate, che arrivano normalmente a 150 hl/ha. È poco soggetta a oidio e marciume ma può essere vittima della peronospora. Dato che matura relativamente tardi, spesso a ottobre in alcune regioni italiane, ha un limite geografico naturale di coltivazione, ma in zone come lo Charentes viene semplicemente vendemmiata prima di arrivare a piena maturità, come avviene in Italia meridionale, per esaltarne l’acidità.
I percorsi del Trebbiano sono quasi altrettanto numerosi delle varietà identificate in Italia. Il Trebbiano Toscano e il Trebbiano Giallo maturano un po’ prima di altre. Oggi il Trebbiano è coltivato in tutta Italia, salvo le zone fredde del Nord, tanto che probabilmente la maggior parte dei bianchi di base del paese contiene almeno una percentuale di quest’uva, se non altro per aumentare l’acidità e la quantità. La sua roccaforte è comunque l’Italia centro meridionale con il Trebbiano Toscano, con quasi 60.000 Ha; nel 1990 era la terza varietà italiana per superficie vitata, mentre c’erano oltre 20.000 Ha di Trebbiano Romagnolo, quasi 12.000Ha di Trebbiano d’Abruzzo, 5.000Ha di Trebbiano Giallo e oltre 2.000Ha di Trebbiano di Soave.
II Trebbiano di Romagna domina la produzione di vini bianchi dell’Emilia-Romagna, fatti con quest’uva o con il Trebbiano della Fiamma dagli acini quasi ambrati. Ci si può fare un’idea della sua ubiquità elencando parte dei vini in cui è presente: Verdicchio, Orvieto, Frascati, il Soave da Trebbiano di Soave e il Lugana da Trebbiano di Lugana. Le varietà hanno avuto a disposizione molti secoli per ambientarsi alle condizioni locali. In Umbria è chiamata Procanico, che secondo alcuni agronomi è una varietà superiore, a bacche più piccole, del Trebbiano. In pratica solo le regioni nordorientali d’Italia, fortemente legate alle loro varietà, sono immuni da questa zavorra anonima.
L’influsso malefico del Trebbiano si è fatto sentire soprattutto in Toscana centrale per gran parte del XX secolo, quando il vitigno era tanto diffuso che il disciplinare del Chianti e poi del Vino Nobile di Montepulciano ne decretò l’inclusione in questi rossi, annacquandone le qualità oltre che il colore e danneggiandone la reputazione. Oggi però il Trebbiano è un ingrediente più che altro facoltativo, sempre più scartato dai produttori toscani di vini rossi che guardano alla qualità.
Il mare di Trebbiano tuttora prodotto in Toscana viene incanalato in bianchi secchi innocui vinificati a bassa temperatura, come il Galestro. Come il Viura (Macabeo) spodestò la più interessante uva bianca autoctona Malvasia nella Rioja, così il Trebbiano con le sue alte rese ha cacciato la Malvasia dalla Toscana, anche se quest’ultima è una base ben più promettente per il Vin Santo.
Il Trebbiano più interessante d’Italia il Trebbiano d’Abruzzo di Paolucci. A ogni modo, negli anni ottanta si è verificato un netto incremento degli impianti di una varietà conosciuta come Trebbiano d’Abruzzo.
Con il nome di Thalia, il vitigno è riuscito a insinuarsi perfino nelle vigne del nazionalistico Portogallo ed e assai diffuso in Bulgaria e in alcune zone della Grecia e della Russia. Oltre a essere usato dall’importante industria messicana del Brandy, è radicato nel resto dell’emisfero meridionale, dove se ne apprezzano le alte rese e la spiccata acidità. In Argentina alla fine degli anni Ottanta c’erano oltre 4.000 ha di «Ugni Blanc», oltre agli estesi impianti in Brasile e Uruguay.
Anche il Sud Africa vanta impianti alquanto limitati di Ugni Blanc, si basa di più sul Colombard per produrre Brandy e vino da taglio, al pari della California dove quel poco che resta di «Saint-Emilion» si trova nella Central Valley. In Australia invece il Trebbiano occupa una superficie doppia del Colombard ed è piantato per lo più nelle zone irrigue, dove costituisce un ingrediente di utile acidità per tagli bianchi di base, è usato anche dai distillatori e dà vita in qualche caso a vini di corpo pieno, non privi di sostanza, come il singolare Californian.
L’influenza del Trebbiano/Ugni Blanc è destinata a ridursi, in quanto i consumatori vanno sempre più alla ricerca degli aromi del vino.