Falanghina

La Falanghina è un vitigno autoctono della regione Campania e nello specifico dei Campi Flegrei, territori in cui è coltivato sin da tempi antichissimi.

Le sue origini, infatti, risalgono ai primi coloni Greci che per primi si insediarono in Magna Grecia, ma anche agli antichi Romani che, grazie a un allevamento sapiente della vita, portano il vitigno a risultati eccelsi.

Oggi la Falanghina viene coltivata soprattutto nel terroir più settentrionale di Napoli e nel Sannio, senza dimenticare ovviamente le colline dei Campi Flegrei in cui è ritenuto autoctono.

Etimologia della Falanghina

Perché si chiama così? L'etimologia si perde nelle epoche più antiche dei Greci e dei Romani.

Il nome Falanghina, infatti, deriva dal greco Falangos, poi trasformatosi in Phalange, parola che richiama per l'appunto i pali che sostengono la vite e i suoi preziosi frutti.

Si trovano dei riferimenti e delle citazioni del vigneto in alcuni documenti di Plinio il Vecchio, e la storia narra che la Falanghina non mancasse nei banchetti degli imperatori romani e alla corte reale di Napoli.

Diventa un nettare talmente pregiato da essere inserito addirittura nella carta dei vini papale.

Un po' di storia... a piccoli sorsi

Il primo riferimento storico più recente del vitigno della Falanghina lo troviamo in un documento del 1804 di un frate francescano, tale Columella Onorati che per primo si interessa al vitigno, dando un valido contributo all'ampelologia dell'epoca. Fino a quel periodo, la botanica e lo studio dei vigneti era considerata semplicemente una tradizione da tramandare oralmente.

Altre testimonianze ci arrivano da altrettanti studiosi e intellettuali come Giuseppe Acerbi e Federico Corrado Denhart.

Dopo il 1879 il Cavaliere Giuseppe Frojo descrive nel dettaglio la produzione vinicola e l'affinamento delle uve, mentre nel 1989 la Falanghina conquista la denominazione DOC del Falerno del Massico Bianco.

Oggi la Falanghina viene allevata nei territori campani di Napoli Nord, del Sannio e dei Colli Flegrei, con metodi innovativi e contemporanei, con il fine di ottenere il massimo dalle caratteristiche organolettiche della bacca in purezza.

Trova lo sposalizio perfetto come vino da aperitivo, da accompagnare con antipasti di pesce e ricette della cucina mediterranea.

Come si produce il vino Falanghina?

Il grappolo dell'uva qualità Falanghina si riconosce per una forma a cilindro e a cono, dalle dimensioni compatte e piuttosto allungate.

L'acino ha una buccia particolarmente pruinosa di un bel colore giallo dorato con riflessi verdi, dalla forma sferoidale.

Si tratta di un vitigno generoso e rigoroso dalla produzione abbondante. Il bravo vignaiolo, infatti, deve essere in grado di moderarne il processo produttivo in modo da valorizzare la qualità del vino.

Si vendemmia solo quando gli acini sono maturi al punto giusto, verso il mese di settembre, e per questo si parla di raccolta tardiva.

Dopo essere vendemmiata solo e rigorosamente tramite modalità manuale, con le tipiche ceste in vimini, le uve ricevano una lenta macerazione su lieviti autoctoni e indigeni.

Il vino assume caratteristiche più fresche, facili e leggere a seconda della vinificazione e dell'affinamento.

In alcuni casi specifici e per ottenere un vino più complesso e strutturato si procede all'invecchiamento in botti di legno rovere, e alla miscela con uvaggi di passito che danno origine a una Falanghina più spinta dal punto di vista minerale, dall'acidità persistente.

Queste caratteristiche organolettiche vengono assicurate anche dal tipo di terreno vulcanico del Taburno e dei Campi Flegrei: i terroir garantiscono quella nota minerale davvero spiccata, soprattutto nelle varietà che invecchiano per almeno 10 anni in cantina.

Falanghina, corredo aromatico e abbinamenti

Il vitigno della Falanghina dà origine a vini aromatici e dal sapore intenso, sia nella versione ferma sia nello spumante ma anche nella produzione di passito.

Si tratta di un vino dalla spiccata acidità, molto zuccherino e concentrato con un profumo complesso: si predilige l'affinamento in botti di acciaio che hanno la proprietà di mantenere l'aroma in purezza, senza contaminazioni legnose.

Tuttavia, alcuni produttori sperimentano l'affinamento in barrique di rovere per conferire al vino un aspetto più tannico, strutturato e complesso.

La Falanghina nella versione secca si degusta a una temperatura media tra 10 e 12°C, in un bicchiere medio, tipo quello a tulipano che permette ai profumi di sprigionarsi in modo ottimale.

La versione passita richiede temperature di servizio più basse attorno fra 8 e 10°C e si beve nei bicchieri con stelo lungo. Infine, la versione spumante si beve a una temperatura di servizio di 8°C e si serve in un flûte da bollicina, o ancora meglio in un bicchiere da brindisi piuttosto ampio che permetta la piena diffusione del bouquet aromatico.

Al calice si presenta con un colore giallo paglierino con riflessi verdognoli brillanti; la versione spumante presenta un colore dorato carico, mentre il passito ha una discreta consistenza in bocca.

Per quanto riguarda il bouquet aromatico e il profumo che si sprigiona al naso, il vino Falanghina si riconosce per un'esplosione di note floreali tra cui ginestra e fiori tipici della macchia mediterranea.

Le note olfattive si sviluppano in sentori fruttati di banana, mela verde e pera.

La Falanghina nella versione passita sprigiona note di albicocca, miele, mela e fiori bianchi su un sottobosco di erba appena tagliata, anice, sambuco e basilico. Sì, è un vino dalla spiccata nota balsamica che rinfresca e tonifica al primo sorso.

Abbinamenti speciali con la Falanghina

La Falanghina al palato si dimostra un vino piuttosto secco, con un'apertura fresca e intensa, piuttosto sapida e di lunga persistenza. È perfetta come aperitivo, in accompagnamento ai piatti di pesce fresco della cucina mediterranea, ai primi e ai risotti.

Inoltre, trova un ottimo abbinamento con le carni bianche, con le minestre di legumi e di cereali, con i crostacei, con sushi e sashimi.

Il consiglio dello chef: abbina la Falanghina più leggera e meno strutturata con i formaggi freschi della cucina campana, soprattutto con la celebre mozzarella di Bufala, per un tripudio di sensazioni e di consistenze godurioso.

La versione passita trova lo sposalizio indovinato con la piccola pasticceria secca, con crostate di frutta e confetture. Si abbina a meraviglia con i formaggi stagionati della tradizione italiana, come la grana e il parmigiano reggiano, e con gli erborinati come il gorgonzola, con il caprino e il pecorino.

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